martedì 15 novembre 2016

Roma!

Mi capita di trovarmi a Roma, città in cui biondeggia il Tevere e per me è già molto. 

domenica 13 marzo 2016

Achille, la freccia e la tartaruga

Come certamente avrete notato, avanzando gli anni si apprezza sempre di più il momento presente, un po' perchè il futuro si fa sempre più incerto e un po' perchè la memoria si fa sempre più corta. In conseguenza di tutto ciò, il tempo sembra correre più veloce (strano: godiamo di più il tempo proprio quando va via più in fretta).

Ora, toccate ferro e immaginate di essere a pochi minuti dalla morte. Il processo suddetto si dovrebbe intensificare: ogni minuto secondo in avanti significherebbe un'intensificazione logaritmica sull'asse della consapevolezza e dell'intensità della vita.

Sappiamo che tra l'uno e lo zero i numeri sono altrettanto infiniti che fra zero e l'infinito - lasciando da parte quella storia della freccia che prima di andare a bersaglio deve passare dal punto medio della sua traiettoria e così via nel segmento rimanente, fino a non arrivare mai. Oppure a quell'altra ancora più ridicola di Achille e della tartaruga - entrambe vere se si immagina di tirare una freccia a una tartaruga e di colpire per sbaglio nel tallone quel pirlone di Achille che attraversa la traiettoria nel suo punto medio: davvero in questo caso la freccia non arriverà mai al suo bersaglio e Achille non raggiungerà mai la tartaruga. Ma si tratta di un caso assai raro.

Orbene, noi quell'estremo percorso di riffa o di raffa, volenti o nolenti lo percorriamo tutto e proprio per questo sperimentiamo l'infinito nell'ultimo istante finito del nostro esistere: riusciamo a contare tutti i numeri che contiene e al limite ne percepiamo l'eternità: a questo punto, paradiso e inferno dipendono dalla gioia con cui riusciamo a contare. Il che può dirsi anche riferito a molti anni prima.

Se poi è vero, come molti pensano, che negli ultimi istanti si rivede il film della propria vita, importante è solo che sia un bel film

Ho visto Maschio Alfa Renzi che se la prendeva con tale Antonino (di cui non si sentivano bene le critiche) e per una volta mi è rimasto simpatico. Ottimo comunicatore e uomo di spettacolo.
 
C'era una volta un pesciolino

che viveva in un torrente di montagna



Un giorno vide sul fondale

un gambero fra i sassi



«Buon giorno» gli disse

«come mai cammini all'indietro?»



«All'indietro?» rispose il gambero

«ma io cammino in avanti, caso mai sei tu che nuoti all'indietro»



«Ma no, io nuoto in avanti

 tutti sanno che tu cammini all'indietro»



«All'indietro è dove si guarda»

 ribattè il gambero

«davanti è dove si cammina.

Quindi se io guardassi avanti

andrei all'indietro, come fai tu.

Ma poiché io guardo indietro, come si deve,

in realtà io vado avanti»



«Ma se tu vai avanti e guardi all'indietro

o vai indietro e guardi davanti

non vedi dove vai, avanti o indietro che sia»



E da quel giorno

il pesciolino imparò

a nuotare

senza fare domande

sabato 12 marzo 2016

Vado al Mare e sento che tutte le tensioni si sciolgono. Bella forza: l'acqua di cui sono per quattro quinti costituito sono è arrivata con me dove doveva e non ha più nulla da aspettarsi

giovedì 3 marzo 2016

Salecina, a 1800 metri, poco prima del Maloja, poco sotto St Moritz. Luogo di vacanza ma anche fondazione culturale vicina ai socialisti d’Europa, fu fondata nel 1971 da Teo Pinkus, il celeberrimo “libraio rosso” di Zurigo assieme alla moglie Amalia de Sassi. Subito iniziò una programmazione importante. Nel 1976 vi tenne un seminario il filosofo Herbert Marcuse insieme con Max Frisch, uno dei primi finanziatori. Da allora fino a oggi si sono tenute attività, le più svariate, sempre caratterizzate da un grande impegno intellettuale o per l’appunto sociale. Alla faccia del riflusso. Ma cos’è di preciso, Salecina?

A prima vista sembra un normale – bellissimo – agriturismo da una sessantina di posti-letto, al centro di una valle da secoli guardata all’ingresso dal palazzo dei Baldini e sormontata da cime di 2500 e  2750 metri, piuttosto impressionanti tanto sono dirette al cielo.

Naturalmente ci si può andare in vacanza, mezza pensione colazione e cena, senza doversi per forza spremere le meningi partecipando ai gruppi di studio. Si passeggia e via, il paesaggio e l’aria sono straordinari. Una particolarità di Salecina è che si tratta di un modello funzionante di comunità autogestita dagli ospiti. Ma autogestita davvero, in tutti i particolari: dall’acquisto delle provviste alla preparazione di pranzo e colazione. Dalla pulizia dei servizi, delle camere e degli spazi comuni ai bucati, alla gestione della segreteria. Tutto quadra: se il principio è che la divisione del lavoro porta alla dialettica fra servo e padrone, sono aboliti i ruoli subalterni, qui tutti fanno tutto. Altri principi: il cibo è il più possibile e chilometro zero, il più possibile biologico, tendenzialmente vegetariano (ma non del tutto).

Quando si arriva, sia per seguire un seminario o due, sia per passeggiare nei boschi, un Koordinator assegna i compiti della giornata, dopo di che si dimette e assegna a qualcun altro il compito di Koordinator per l’indomani (e costui/costei non eviterà per ciò il resto del lavoro). Questa organizzazione permette di abbattere i costi e di conseguenza i prezzi che in base a un noto principio (a ciascuno secondo i suoi bisogni e da ciascuno secondo le sue possibilità) sono legati al reddito dell’utente e proporzionali a esso (vedi tabella sul sito www.salecina.ch).

La maggior parte degli ospiti sono di lingua tedesca, ma ci sono seminari internazionali, ad esempio sul canto corale e le danze popolari – dove tutto è multilingue, come del resto è nella tradizione elvetica e nel respiro mitteleuropeo dell’Utopia realizzata.

www.salecina.ch

mercoledì 2 marzo 2016

Ma! E i balordi?

Devo dare qualche parametro che faciliti la comprensione di quanto segue. Sono un semiologo della musica e un musicista di scuola antica. Le canzoni sono per me un "fumetto sonoro", secondo la definizione inventata da Francesco Guccini: come i fumetti non sono né pittura né letteratura, ma una forma d'arte nuova, così le canzoni non sono né musica né poesia, ma  comunicazione, nuova se non altro per la inusitata vastità della sua diffusione. Per questo parlo dell'atmosfera creata dai Balordi e non della loro musica, come ci si potrebbe aspettare da me.
Dei Balordi ricordo "Vengono a portarci via",  l'inciso e pochi versi: abbiam trovato un suono nuovo più forte degli altri, più grande di tutti... e watt e watt e cento e mille watt....e quel MA! Col punto esclamativo.
Erano anni in cui si era ossessionati dal sound: leggendo gli articoli sui complessi, la parola ricorreva come fosse il nucleo di tutto (ed effettivamente lo è, ma non in quel modo tutto sommato cialtronesco).  I Balordi colpiscono il cuore del problema, con un testo accompagnato da una versione rimodernata dell'Orchestra Intonarumori dei Futuristi. E se Dio vuole, futuristicamente, sfottono.
E quelli che poi sono diventati i gruppi, si chiamavano allora complessi, cioè a voler vedere, più che aggregazione giovanile, sintomatologia di disagio mentale: e i giovani, oltreché smidollati, privi di iniziativa, sporchi e deficienti - preciso come oggi - erano visti dai media come malati di mente.
Quindi, vengono a portarci via, ah ah, ih ih, oh oh, alla faccia vostra, a noi piace: il matto è il simbolo del popolo, bue cieco che ci vede benissimo e si muove veloce. Si incarna a volte nel giullare, nel giullare di Dio San Francesco d'Assisi, nel premio Nobel a Dario Fo - e in quel 45 giri.
Ricordo anche la disarmante semplicità di un verso di "Don Chisciotte", altro ricordo di quegli anni: la ragazza che piace a me, e lo ricordo mio malgrado: ho risentito Don Chisciotte prima di scrivere queste righe che sento di dovere ai Balordi e ce l'ho ritrovato senza sapere che era un verso di quella canzone, e mi è venuta in mente la ragazza che piaceva a me in quegli anni, e quelle che mi sono piaciute dopo e quella che mi piace adesso.  Chiedo scusa se parlo di Maria, non nel senso di un discorso, quello che mi viene, dice Gaber qualche decennio dopo, e con ciò vengo al punto: ricordo pochissimo dei Balordi, ma ho presentissima la sensazione che le loro canzoni contenessero il seme di quello che è venuto dopo.  Mi ricordo il mio compagno di banco, che mi diceva: "Forti i Balordi! Cantano ero lì che pensavo ai cazzi miei..." (mentre gli altri cantavano Se verrai con me nel mio carro fra le nuvole, o Non ho l'età per amarti).  Quindi i Balordi cantavano come noi trasgressivamente parlavamo ai tempi in cui il preside ci aspettava sul portone per rimandare a casa chi si presentava senza cravatta, altro che capelli lunghi. I Balordi eravamo noi, e molto di loro ci ha accompagnato fino a oggi. A me di sicuro.
Che altro ricordo? Domani devo fare una cosa, devo cambiar la società, il che di lì a pochissimo si sarebbe avverato nel velleitarismo dei gruppi dell'ultrasinistra (e purtroppo anche dell'ultradestra), nei sogni dei Situazionisti - da cui poi nacque Re Nudo, movimento in odore di Balordi fin dall'inizio.
Ma! Balordo cosa vuol dire? Nel linguaggio della mala vuol dire uno che fa la vita, contrapposto a Renato, un regolare.
Ma Balordo è anche chi ha accusato il colpo di quello che gli è successo attorno, e ne esce con le idee confuse e la coscienza traballante. Però almeno ha dimostrato che la coscienza ce l'ha, o almeno l'aveva. Balordo, o sbalordito, è chi guarda quello che c'è intorno e ancora si meraviglia del male. Con la consapevolezza che se tornasse il diluvio, poi restano a galla una chitarra, una maglietta e un mini-pool : versi che potrebbero aver scritto gli Skiantos, o Elio e le sue Storie, tutti post-Balordi che non sono altro.
E se facessimo un'Associazione? Potremmo chiamarla Balordi allo Stato Nascente - ai tramonti, ai tramonti - Stato Nascente dei Balordi - agli orienti, agli orienti - o come si vuole - ai tramonti dei soli nascenti.

Ricky, ricordi i Balordi?
Son stati gli stati nascenti
dei sogni seguenti.

martedì 1 marzo 2016

Quando diciamo India, insieme alla parola si materializza un Mondo sconfinato, fatto di mito e di pregiudizio, di luoghi comuni esotici e di sostanziale ignoranza. Se ci capita di andarci cerchiamo di verificare quello che già sapevamo. Il resto è davvero troppo, dobbiamo per forza fissare dei paletti. Le mucche ci sono davvero? Sono davvero sacre o semplicemente gli indiani non se le mangiano e le trattano bene? E il Sitar? Come sarà il suo suono dal vivo?

Nelle nostre conclusioni spesso ci dimentichiamo che l’India oggi è profondamente diversa da quella che ha formato le nostre idee. Il villaggio globale è cresciuto in tutte le direzioni.

Ma dove sono gli indiani? Quelli che vediamo nelle strade corrispondono all’immaginario collettivo di un europeo medio. Le strade brulicano, i pulman pullulano e i treni pure. Gli aerei sono strapieni. Le signore in abiti tradizionali sono una vertigine di cotone colorato che fluttua e fruscia sensualmente, però maschi da una parte, femmine dall’altra, altro che kamasutra. Tutti col telefonino e l’inglese in simultanea. Camion. Migliaia di camion e guida a sinistra, retaggio inglese come moltissimo altro: soldati con le divise kaki inamidate, poliziotti spesso disarmati e con le uniformi blu eleganti e ordinate. Scuole elementari con le divise di Hogswort, preferito il Grifondoro, quello di Harry Potter. Un vero melting pot. La storia che segue può essere per molti versi  illuminante.
Angela e Prem si sono conosciuti nel 1997 per l’appunto in India, nello Stato dell’Himachal Pradesh, più precisamente nel distretto di Mandi, sulle rive del fiume Satluj (che vuol dire acqua pura ed è acqua pura davvero: arriva dal Tibet, neve sciolta dell’Himalaya). Il paese si chiama Tattapani, letteralmente acqua calda, perché vi sgorga acqua a 70 gradi, solforosa o addirittura sulfurea. Lei è cremonese, lui è proprio di Tattapani. Si innamorano e comincia un pendolo a due, avanti e indietro Italia-India. Si sposano nel ’99 e optano per l’Italia. Qui Angela, dottore ISEF, insegna educazione fisica e si dedica ai figli, tre in rapida successione, ovviamente bellissimi, concentrati e riflessivi come i bambini indiani: Sunita, 13, Sonia, 11, Raul, 9.

Prem ha tradizioni di famiglia nell’uso dei massaggi e della medicina ayurvedica (una sua nipote Antana Kumart, 25, è oggi un medico ayurvedico e tiene ambulatorio a Suni, il paese vicino a Tattapani). A Perugia studia massofisioterapia, naturopatia e diventa terapista ayurvedico collaborando con un medico italiano. A Cremona last but not least segue un corso da mediatore culturale che gli permette di lavorare come interprete coi tantissimi sik che vivono nei dintorni e lavorano negli allevamenti. A furia di massaggi, ma anche con l’aiuto della sterminata famiglia (basti dire che Prem ha 26 nipoti e vivono quasi tutti insieme) a Tattapani si comincia a costruire un grande palazzo che diventerà un albergo e un centro benessere, proprio sopra la sorgente calda. Iperattivo, capace e per certi versi anche geniale, Prem segue tutto a distanza. Il pendolo ben presto ricomincia, stavolta per lavoro. Finalmente, nel 2010 la nuova attività può partire e la famiglia si trasferisce in India. Didascalicamente, l’albergo si chiama Hot Spring Therme & Spa e all’apparenza potrebbe essere un albergo (elegante) di qualsiasi località turistica italiana. Anche le attività, coordinate da
Angela e Prem, sono da centro benessere: massaggi ayurvedici, Shirodara, frizioni con oli curativi, applicazioni di argilla, bagni di vapore, terme, yoga, solarium e se si vuole ginnastica tipo body building con moderne attrezzature (qui c’è lo zampino di Angela). Le attività all’aperto comprendono trekking, equitazione, pesca della trota, rafting. Importanti anche le escursioni di carattere culturale. Non ci si annoia un attimo e la salute migliora. Ma la cosa più importante e unica di questo centro benessere indo-italiano in cui si seguono criteri olistici e tecniche indiane imparate in Italia è che è frequentato soprattutto da indiani. Quelli nuovi e veri che aspettano di incontrarci per toglierci qualche pregiudizio.

Hotel Hot Spring Therme & Spa
Tattapani 171302, Shimla Hills
Himachal Pradesh (India)
tel. +91/01907230764
hotelhotspring.com
Se l'hashish è OGM
 dall'Aldilà 
lo sciamano non torna

Ventanni, simpatica e bella, Cristina torna a casa dopo un paio di giorni passati in compagnia di amici. Come al solito non racconta nulla: da quando ha deciso di prendersi un anno di libertà, finito il liceo, la sua vita scorre tra un lavoro occasionale e il successivo. Senza progetti. Senza gioia e senza dolori. Il fidanzato non ce l’ha e per adesso non ce lo vuole avere.

Questa volta però è visibilmente triste e abbattuta. Tace fino al terzo giorno, poi comincia a fare strani discorsi:”Manterrò l’impegno che ho preso con loro”.



Il quarto giorno sente odore di morfina ovunque e farfuglia che forse è stata drogata contro la sua volontà. A questo punto la madre e la sorella cominciano a preoccuparsi seriamente (il papà è via per lavoro): Cristina ha sempre tranquillamente ammesso che fumava hashish e che aveva persino provato una pista di coca, ma diceva che non avrebbe mai preso droghe sintetiche, ecstasy e crack in testa. Invece il suo delirio, svela una ricerca su Internet, assomiglia proprio ai postumi dell’ecstasy. Primo psichiatra, psicofarmaci a carrettate. Non migliora, anzi è sempre più persa fra fantasmi e spaventi. L’incubo atroce dura altri tre giorni, poi la dichiarazione: “Sono schizofrenica”.



“Mi hanno dato Coca Cola drogata e poi siamo andati nel Mokamba per fare il rito”

Ma cos’è il Mokamba?

“E’ lo spazio del Sabba. Sono andata nell’Al di Là e non riesco più a tornare”.

Altra ricerca su Internet: il Mokamba è un tipo di caffè, ma il nome suona come Macumba, il rito stregonico brasiliano derivato dal Woo Doo (che invece è una religione vera e propria). Suona anche come Mokambo, il bar fallito delle canzoni di Paolo Conte. Quasi comico, ma si sa che i riti satanici esistono e sono pericolosi. Il padre torna col primo aereo. Parlando come fosse lei stessa uno spirito Cristina svela il terribile segreto: “Io sono Satana.”



Gli psicofarmaci però cominciano a funzionare, alleviano il panico a lei e a tutta la famiglia. Secondo psichiatra, riduzione dei farmaci, prima diagnosi: “Esordio psicotico scatenato da eccesso di hashish. Stavolta sembra che riusciamo a riprenderla, ma se succede ancora non torna più”

Ma come, l’hashish non era una droga naturale, tutto sommato meno nociva del vino e del tabagismo? I parenti sessantottini e settantasettini si ricordano bene degli spinelli giovanili e non hanno mai fatto un dramma delle canne di Cristina. Invece la  cannabis non è più sempre quella di una volta. Ne circola un tipo modificato per aumentare il principio attivo. Oggi può essere fino a sei volte più potente di un tempo. Logico: deve competere con le droghe sintetiche ed è diventato anche altrettanto devastante. Così i giovani sciamani a volte non tornano.


domenica 28 febbraio 2016

Cari Sulutumana, bravissimi, sempre più bravi. E poi non se la tirano più dell'inevitabile. Li ho ascoltati di recente in una bolgia infernale. Giamba ha portato fino in fondo un'animazione sul Baobab del Piccolo Principe. Finalmente gli ho detto che i musicisti spesso hanno un atteggiamento che fa pensare a un'infanzia blindata. Lui fa pensare a un bambino libero per monti e boschi.

venerdì 26 febbraio 2016

Cumba!

Cumba!

La mia cagnolina di nome Cumba mi segue pedissequamente. Quando è necessario la metto al guinzaglio. Per lei il rito significa che io (Dio) la accolgo nel gregge. Basta!  dover stare all'erta per cercare prede e evitare i predatori; basta! dover scegliere il percorso più sicuro; basta! pensare. Un click (quello del moschettone) e tutto si risolve. Mi ricorda qualcuno. Il sogno del maschio Alfa, il mio incubo ricorrente